Non è affatto facile ritrovarsi davanti alle poche pagine de “Lo sterminio degli errori”, del grande filosofo indiano Nagarjuna, senza provare un certo senso di disorientamento e, in ogni riga, un concetto in cui perdersi. Nonostante questo iniziale smarrimento, i versi armonici, intrisi di metafore lontane, presto lasciano trasparire un fascino che cattura e conduce con lentezza a sé. Per comprendere appieno la portata spirituale di quest’opera, una delle più rilevanti nella dottrina buddista, bisogna servirsi degli arnesi della conoscenza e cercare di comprendere a fondo come le varie scuole buddiste abbiano commisurato la propria azione, e i propri postulati, ai contenuti di queste pagine.
Con Nagarjuna prende corso la dottrina del Grande Veicolo e, con tale dottrina, una concezione decisamente aperta del cammino verso la saggezza, che diviene un orizzonte comune, a cui ogni anima può legittimamente aspirare, a patto che si comprenda nel suo fondo l’idea di Vacuità e le conseguenze ad essa connesse. Sono pagine brevi, queste dell’asceta indiano, ma ricche di spunti teorici di riflessione, di punti di vista distanti. Un libro che per essere esperito in tutta la sua sconvolgente rivoluzionarietà, deve essere letto e vissuto: il tempo della lettera si deve fare, insieme, il tempo della vita. Una recensione, del resto, si pone ampi margini di sintesi e superficialità e non può certo condurre, in poche righe, a comprendere univocamente una delle idee filosofico-religiose che hanno cambiato la geografia del pensiero umano, almeno nella sua parte più orientale. Uno sguardo ad un tempo semplice e radicale al nostro rapporto con l’anima e con la realtà. Appunti di “viaggio” che potranno dare alcune indicazioni a chiunque nella propria vita stia percorrendo le vie dello spirito, la strada che porta alla Verità. Altresì, troveranno una imperdibile opportunità di confronto, anche coloro che percorrono un cammino di conoscenza spirituale al di fuori di una cornice religiosa, sopra ogni sovrastruttura, fuori da ogni ideologia.
“La Vacuità male intesa manda in rovina l’uomo di corto vedere così come il serpente male afferrato o una formula magica male applicata. E per questo, la mente dell’Anacoreta si era ritratta dall’insegnamento della legge, pensando alle difficoltà che avrebbero avuto gli uomini di corto vedere a penetrarla”