L’esperienza buddhista per la società civile
Il contributo che il Buddhismo può dare alla società civile consiste nell’indirizzare al recupero dei valori etici individuali, attraverso il lavoro meditativo volto a disperdere l'avversione, (odio, rabbia, depressione, paura) l'ignoranza, (di sé e, quindi incapacità di vedere le cose così come sono) l'attaccamento (desiderio compulsivo) che sono dentro di noi. |
Tra i “pizzini” di Bernardo Provenzano si legge che l'albero (di “questa mala vita tra di noi condotta”) che abbia radici ben ramificate, ben può essere spogliato dei suoi frutti e delle sue foglie, che continuerà a fruttificare sempre. Noi proponiamo un fondamento dell'individuo, basato su considerazioni diverse dal modo corrente di intendere le cose, che possa sottrarre alle radici di quell'albero tutto il nutrimento, cioè rivolgiamo il nostro intervento alla base del processo induttivo di avversione, ignoranza e attaccamento, piuttosto che ai suoi frutti.
Giorgio RaspaPer procedere occorre da principio disperdere la profonda ignoranza che è propria di tutti noi, specie in questi tempi, che ci fa ritenere che i nostri comportamenti, le nostre personali scelte di vita non contino nulla, non abbiano alcuna rilevanza, che le cose siano molto più grandi di noi e che per quanto possiamo fare non potremo cambiarle. Questo modo di vedere le cose implica un profondo disvalore di noi stessi e nello stesso tempo l'assunto che noi tutti siamo entità separate le une dalle altre. Ma questo non è assolutamente vero: ognuno di noi per quanto possa contare poco può almeno appropriarsi delle sue scelte personali ed è assolutamente evidente che è sempre in comunicazione con gli altri, per il sol fatto che esiste! Ciò in termini buddhisti si chiama interdipendenza degli esseri e rappresenta la base per comprendere la responsabilità che abbiamo quando agiamo: le nostre azioni, frutto delle nostre scelte, portano sempre delle conseguenze e interagiscono con le scelte degli altri esseri e concorrono così alle scelte collettive. D'altro canto l'affannarsi delle diverse istanze politiche, sociali ed economiche nel proporre modelli di vita e di comportamento prova quanto esse siano interessate e quindi condizionate dalle nostre decisioni in merito alla nostra vita, tanto da volerle in qualche modo a loro volta condizionare. Così dobbiamo avere fiducia che le nostre azioni hanno delle conseguenze, che possono contribuire a cambiare le cose. Nell'immediato, poi, le nostre azioni ci attribuiscono tutta la responsabilità delle loro dirette conseguenze, cosicché non possiamo disinteressarci di quello che facciamo, perché tutto produce conseguenze. Avversione, ignoranza, attaccamento: la società in cui viviamo ci propone incessantemente modelli di comportamento improntati e dominati da questi stati, per di più senza che in molti casi vi sia alcuna corrispondenza con il dato della realtà. (Esempio: i messaggi pubblicitari che esaltano i prodotti – cioè quello che ci viene proposto di desiderare – senza alcuna base reale né circa le qualità del prodotto né circa i nostri reali bisogni). Le nostre menti condizionate a questi incessanti messaggi, alla fine reagiscono con altrettanta avversione, ignoranza e attaccamento. Il condizionamento è subdolo tanto da farci ritenere che siamo liberi o che almeno possiamo liberarci quando vogliamo (un po' come i fumatori incalliti che smettono quando vogliono!), ma spesso proprio la spropositata intensità della reazione, la convinzione che ad essere condizionati siano sempre gli altri e mai noi, dovrebbe farci dubitare di ciò. Thomas Merton, monaco trappista e scrittore di spiritualità in “Detti e fatti dei Padri del deserto”ci ricorda che “l’uomo-massa torna a proiettare con fanatica visceralità tutto il male che ha in sé sul nemico chiunque esso sia”) Il lavoro meditativo, lo studio dei fattori e dei condizionamenti mentali che il buddhismo propone, allora permette di vedere questo meccanismo in atto nelle nostre menti e quindi, interponendo spazio tra azione e reazione, creare le condizioni per poter scegliere di dare altre risposte, probabilmente più adatte al momento presente e sicuramente meno dannose per noi. Ancora Merton ci esorta “ad essere determinati a spezzare tutte le catene spirituali e respingere il predominio delle imposizioni esterne pere trovare il nostro vero io, per scoprire e far crescere la nostra inalienabile libertà spirituale e usarla per costruire sulla terra il regno di Dio”. Essenziale in questa “conversione” è il concedersi di tenere comportamenti sempre più rispondenti (man mano che ci si addentra nella pratica meditativa) ad un'etica personale e, quindi, sociale che il buddhismo per i laici identifica nei c.d. Cinque Precetti. Ciascuno di essi è caratterizzato da una proposizione “negativa”, cioè un invito ad astenersi dal compiere azioni dannose e da un corrispondente invito a compiere azioni salutari Così di seguito sono enunciati i precetti nella versione proposta dal Maestro Tich Nath Han. Astenersi dal distruggere la vita nelle sue diverse forme animali e vegetali; impegnarsi a non uccidere e a non lasciare che altri uccidano; non condonare alcuna uccisione nel mondo, nei propri pensieri e nel proprio modo di vivere. E' questa nella sua accezione più ampia la non violenza, intesa come paziente coltivazione dell'astensione dalla violenza, tanto nei confronti propri che degli altri. Astenersi dal prendere ciò che non è stato dato; consapevoli della sofferenza causata da sfruttamento, ingiustizia sociale, furto e oppressione, si coltivi la gentilezza amorevole e si imparino modi per favorire il benessere di persone, animali e piante. Si pratichi la generosità, condividendo il proprio tempo, energie e beni materiale con tutti coloro che sono in reale stato di bisogno. Ci si determini a non rubare e non possedere nulla che possa appartenere ad altri, rispettare la proprietà altrui, impedire che altri traggano profitto dalla sofferenza umana e delle altre specie sulla terra. Astenersi da una sessualità che generi sofferenza; coltivare la responsabilità nelle relazioni affettive, non avere relazioni sessuali prive di amore e di impegno reciproco, imparare modi per proteggere la sicurezza e l'integrità delle persone (individui, coppie, famiglie e società); fare quanto è in proprio potere per proteggere le persone, in specie i bambini e le donne, dall'abuso sessuale. Astenersi da discorsi violenti, falsi e che causino sofferenza; coltivare l'ascolto dell'altro allo scopo di portare gioia e felicità agli altri e confortarli nelle loro sofferenze (uso generoso della parola); imparare a parlare veritiero, usando parole che ispirino fiducia in se stessi, gioia e speranza; non diffondere informazioni di cui non si sia certi, non criticare o condannare cose di cui non si è sicuri; astenersi dal pronunciare parole che possano causare divisione o discordia; fare ogni sforzo per riconciliare e risolvere ogni conflitto. Astenersi dal diminuire la propria consapevolezza assumendo sostanze intossicanti; coltivare una buona salute fisica e mentale, praticando un consumo consapevole, sia nel mangiare che nel bere, ma anche nell'assunzione di immagini, suoni, letture e discorsi, astenendosi da qualsiasi forma di dipendenza e di intossicazione. Questi elementi contengono in sé il germe di qualsiasi etica sociale; non sono da intendere come buoni proponimenti che lasciano il tempo che trovano,ma direttrici di vita, sentieri da percorrere con l'intensità che la nostra personale sensibilità permette,dapprima in maniera certamente incerta e, via via che la pratica assuma importanza per noi, con passo sempre più sicuro. Si tratta quindi di processi di trasformazione interiore che necessitano di tempo e di pratica, di fiducia nel sentiero che si sta percorrendo e infatti i praticanti dell'insegnamento del Buddha si dicono “coloro che sono sulla via”. Presidente dell’Unione Buddhista Italiana Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo (INTERVENTO AL VESAK 2009 DI PALERMO) |
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