Amore e compassione nel Buddhismo tibetano
29 gennaio 2000 - ven. Lama Tenzin Kienrab Rimpoce "Amore e compassione nel Buddhismo tibetano" tradotto dal tibetano da Chodup Tsering Lama Sono contento di essere fra di voi e desidero ringraziarvi per avermi dato questa opportunità di insegnare qui: considero una fortuna insegnare al Tenzin Cio.Ling. Non potete aspettarvi qualcosa di particolare perché non ho una grande esperienza, non ho fatto delle pratiche particolari che posso trasmettervi per la vostra realizzazione, ma semplicemente discuterò degli argomenti che possono esservi di utilità e anche argomenti che considero importanti per una vita spirituale. |
Quando mi è stato chiesto di insegnarvi, ho voluto parlare di un fondamentale argomento: il pensiero del risveglio, la cosiddetta Bodhicitta, e credo che sia un giusto argomento di discussione. La cosa fondamentale di cui si parla nel Buddhismo è l’altruismo. L’altruismo non è un argomento così semplice come volere bene agli altri o fare qualcosa per gli altri; è un pensiero che deve essere coltivato dentro di noi e alla fine messo in pratica per il beneficio di tutti gli altri esseri senzienti. Questo altruismo, questo pensiero, questo modo di pensare e curare gli altri, diventa molto importante nel Buddhismo perché viene considerata la qualità indispensabile per ottenere lo stato di Buddhità. Cosa significa impegnarsi, lavorare, sacrificarsi solo per il bene degli altri esseri senzienti? Sicuramente in questa vita, in questa condizione fisica, in questa società nessuno di noi è in grado di operare esclusivamente per il bene degli altri. Esistono però degli esseri illuminati che hanno ottenuto il perfezionamento totale e sono in grado di agire, pensare e fare solo per il bene degli altri, quasi "noncuranti" della loro stessa condizione. Questo concetto lo possiamo capire intellettualmente, ma è molto difficile accettarlo quando siamo vittime di grosse sofferenze fisiche o mentali: in questi casi ci possiamo sentire come abbandonati a noi stessi, senza aiuti e mettiamo anche il dubbio l’esistenza di esseri superiori. A questo proposito i grandi maestri ci dicono che se manca la fede, gli esseri illuminati non possono inviarci l’energia ispiratrice. Quindi la fede deve avere un rapporto molto stretto con la forza e le energie spirituali di un essere illuminato. Questo vuol dire che qualsiasi livello di pratica spirituale e qualsiasi religione richiedono questa fede, una grande fede verso l’energia divina degli esseri illuminati, perché loro sono gli unici che possono essere in grado di aiutare tutti gli esseri senzienti, in quanto pensano ed operano esclusivamente per gli altri. Come abbiamo già detto, per raggiungere lo stato di illuminazione dobbiamo sviluppare il pensiero del risveglio, cioè il desiderio di sacrificarsi ed operare duramente per il bene degli altri esseri senzienti. Io spiegherò gli insegnamenti già dati; non ho niente da aggiungere a quelli dei grandi maestri del passato. Ciò che dirò e discuterò con voi è quasi come un riportare questi insegnamenti, questi detti, queste citazioni. In un proverbio tibetano si dice che spesso ascoltando un insegnamento dal maestro non sentiamo mai una novità, è sempre lo stesso discorso che abbiamo già ascoltato in altre occasioni; capita però che ogni volta riusciamo a capire qualcosa di più, riusciamo ad avere maggiore comprensione, una interpretazione diversa, che possono essere applicate ed integrate nella nostra vita quotidiana. Proprio per questa ragione spesso nel monastero viene consigliato di sviluppare per prima la saggezza dell’ascolto. Ascoltando ripetutamente gli insegnamenti, nascerà dentro di noi una saggezza chiamata "saggezza dell’ascolto", che diventa la base per la comprensione di qualsiasi livello di insegnamento. Non si può sperare di ottenere la realizzazione finale - lo stato di Buddhità -attraverso una pratica di un giorno o due o una settimana. Non si può ottenere così velocemente. Così come quando noi saliamo sui gradini non possiamo fare un salto mortale verso l’alto, ma bisogna sempre salire gradualmente per raggiungere senza problemi il piano superiore, alla stessa maniera quando seguiamo un sentiero spirituale dobbiamo sapere che c’è un sentiero graduale da seguire e quindi non possiamo raggiungere il decimo bhumi, cioè il decimo livello, senza salire dal primo al secondo e così via. Nel Buddhismo, soprattutto nella tradizione tibetana, si insegnano due tipi di tecniche per sviluppare una mente pienamente altruistica. La prima tecnica viene chiamata "scambiare se stessi con gli altri" cioè considerare gli altri più importanti di sé. La stessa cura che indirizziamo a noi stessi deve essere rivolta agli altri. L’attaccamento alla propria persona viene considerato come un’attitudine di autogratificazione, una sorta di forte egoismo: questo, secondo il Buddhismo, è il vero nemico da identificare e sconfiggere. Chi segue un sentiero spirituale ed ha un eccessivo attaccamento alla propria persona non avrà grande successo nella ricerca e continuerà ad affrontare diversi tipi di sofferenza in diverse circostanze. L’egoismo è un’attitudine distruttiva perché da esso nascono i concetti di "amico" e "nemico" e quindi siamo sempre soggetti al cambiamento della nostra attitudine, umore a seconda del comportamento delle persone. Se qualcuno ci sorride o ci fa dei complimenti allora nasce l’attaccamento, quindi quelle persone diventano simpatiche e nostre amiche. Così quando capiamo che qualcuno ci guarda male, proviamo una grande sofferenza e in questo caso queste persone diventano vittime della nostra rabbia e quindi nostri nemici. Infine le persone che non diventano né amico né nemico le trattiamo in maniera indifferente, come degli estranei. Siccome noi dividiamo le persone in queste tre diverse categorie, allora da questo nasce la sofferenza. In questo caso dobbiamo agire con prudenza; qui è il caso di applicare la cosiddetta tecnica dello scambiare se stesso con gli altri, che consiste nel cambiare la propria attitudine, nello scambiare l’attitudine dell’autogratificazione con l’amore e la cura verso gli altri. In questo caso, coloro che desiderano seguire un sentiero spirituale non devono certo ignorare se stessi, ma piuttosto prendersi cura degli altri esseri senzienti, preoccuparsi e pensare agli altri, amare gli altri. Se continuiamo con questa attitudine proveremo un benessere psicofisico, cominceremo con lo stare bene e, alla fine risolveremo ogni problema, ottenendo la felicità duratura. Questa è considerata una pratica avanzata, superiore alla cosiddetta tecnica dello sviluppo del pensiero altruistico attraverso le sei cause e un effetto. Esse sono: - Riconoscere tutti gli altri esseri come proprie madri - Riconoscere la loro gentilezza - Ricambiare la loro gentilezza - Sviluppare la compassione - Sviluppare l’amore - Coltivare il pensiero meraviglioso - La bodhicitta vera e propria Le prime sei sono le cause fondamentali per ottenere il settimo, che è il risultato. Queste vengono anche chiamate "le sette tecniche segrete per l’istruzione sullo sviluppo del pensiero altruistico". Il primo è riconoscere tutti gli esseri senzienti come propria madre. Per noi vi è un grande ostacolo per raggiungere questo livello di pensiero, riuscire ad accettare che tutti siano nostre madri, in quanto per addestrare la nostra mente con questa attitudine bisogna prima di tutto accettare la reincarnazione, o per meglio dire l’esistenza della vita passata e futura. Per fare questo non è consigliabile una sorta di fede cieca nella reincarnazione, ma bisogna invece riuscire a sviluppare una serie di ragionamenti logici che ci portino a ritenere plausibile questa "possibilità". Possiamo, a questo proposito, riflettere sulla natura stessa della nostra esistenza. Noi abbiamo un corpo e una mente. Il primo è un elemento materiale ed è causato dall’incontro fra le gocce generative maschili e femminili. La mente invece non viene generata nello stesso modo, poiché essa non ha una natura materiale. Riflettendo bene, capiremo come in natura non esiste nessun fenomeno non fisico, come la mente, che possa essere creato da un elemento fisico, come l’unione dei due genitori. Alla fine di questo ragionamento, arriveremo alla conclusione che la mente del neonato non è creata dai propri genitori, ma, come dicono i testi, da un "momento di mente precedente". Riepilogando, la coscienza mentale e i nostri pensieri, eccetera, sono senza forma, mentre invece l’aggregato fisico (il nostro corpo) è un fenomeno con la forma. Gli aggregati fisici hanno la loro causa sostanziale legata ad un fenomeno con la forma. Per esempio, il primo momento del concepimento sicuramente è la causa sostanziale del nostro aggregato fisico. Quindi l’energia generativa dei genitori diventa la causa sostanziale del nostro corpo fisico. La causa della nostra mente è invece la stessa continuità legata alla mente dell’essere che è nello stato intermedio (il Bardo), che quindi si trasferisce ed entra nel liquido generativo dei genitori. Possiamo dire che la nostra attuale mente è la continuità della stessa mente di ieri e del mese scorso e dell’anno scorso fino al momento del concepimento. Quella coscienza mentale del primo istante del concepimento è sempre la continuità della mente dell’essere dello stato intermedio. Quella mente dell’essere dello stato intermedio è sempre collegata alla mente dell’essere della sua vita passata, sia nella forma umana che in altre forme. Così a ritroso, noi possiamo andare fino ad un tempo senza inizio. Possiamo finalmente capire con la semplice logica che se in questa vita abbiamo avuto una madre, anche nella precedente la nostra esistenza è dipesa da un’altra madre. Tante persone ci chiedono come mai non ricordiamo le nostre madri delle vite passate. In effetti non è una cosa semplice, perché, per esempio, spesso dimentichiamo quello che abbiamo fatto o pensato questa mattina. Ci sono però delle persone che riescono a rintracciare le loro vite passate, perfino a riconoscere con prove le madri delle vite passate. Riflettendo bene su questi argomenti, capiremo come non esiste neanche un singolo essere vivente che non sia stato nostra madre. Ogni essere senziente non solo è stato nostra madre, ma lo è stato tante volte quanto i granelli di sabbia dell’oceano. Per sviluppare questo pensiero del risveglio dell’altruismo – curare solamente gli altri esseri senzienti - innanzitutto bisogna riconoscere tutti gli esseri senzienti come nostra madre. Questo non significa che ogniqualvolta incontriamo una persona dobbiamo dirle: "mamma". Non raggiungeremo quello stato di vedere chiunque come nostra madre, ma questa considerazione va sviluppata durante la meditazione. Mentalmente dobbiamo avere questa convinzione che tutti sono stati nostra madre. Qualsiasi persona che noi conosciamo, in qualche vita passata è stata nostra madre; questa comprensione deve essere dentro di noi. Una volta che riusciamo ad avere una ferma convinzione che tutti gli esseri senzienti siano stati nostra madre, allora dobbiamo seguire la seconda tecnica, che consiste nel riconoscere la gentilezza della madre. La madre di questa vita è stata gentile, la sua presenza è fondamentale per la nostra sopravvivenza, la nostra crescita e la nostra educazione. Spesso dobbiamo riflettere, meditare su quello che noi vediamo, la gentilezza della madre. Se dà fastidio pensare a questo, dobbiamo essere almeno in grado di riconoscere la gentilezza delle altre madri verso i propri figli. In realtà, dal primo momento del concepimento fino alla nostra morte, la madre ci ha sempre servito, curato, non ci ha mai abbandonato. Noi viviamo sulla base del nutrimento, dell’affetto, dell’amore e delle cure di nostra madre. Ciò che una madre prova verso i propri figli è indescrivibile. Anche il rispetto verso gli animali deve diventare base della nostra meditazione. Noi siamo esseri umani con una maggiore capacità mentale. Però anche gli animali ci insegnano molto. Vediamo, ad esempio, come la madre cura il proprio cucciolo, come lo difende, come si sacrifica perfino fino alla morte. Se un essere animale dà tanto di questa cura, affetto a difesa del proprio cucciolo noi esseri umani abbiamo ricevuto maggiore cura ed affetto da nostra madre. Da quello che abbiamo detto prima, dovremo in seguito arrivare a comprendere come lo stesso affetto e cura che riceviamo dalla madre di questa vita l’abbiamo ricevuto da tutti gli esseri senzienti in altre vite. Dobbiamo riconoscere che tutti sono stati gentili verso di noi, sono stati causa della nostra sopravvivenza e del nostro bene. All’inizio ci vorrà tempo per riconoscere tutti gli esseri senzienti come nostre madri, al secondo livello all’inizio, spesso dovuto alla nostra società, è difficile riconoscere la gentilezza della propria madre, ma possiamo superare qualsiasi ostacolo e raggiungere una fase in cui riconosciamo la gentilezza di tutti gli esseri senzienti. In terzo luogo non è sufficiente riuscire a superare tutti questi ostacoli, ma bisogna avere la determinazione di ripagare questa gentilezza. Questa terza pratica viene proprio chiamata "Ripagare la gentilezza" e non si intende come dare da mangiare e dissetare tutti gli esseri senzienti, perché non saremo mai in grado di farlo. L’unico modo per ripagare la gentilezza è dar loro la felicità duratura, ottenendo lo stato finale di Buddha. Tutti noi desideriamo la felicità e non desideriamo la sofferenza. Sulla base di questo argomento dobbiamo agire. Per esempio, non è sufficiente sfamare una persona per una giornata, ma bisogna sfamarla per sempre dandole la possibilità di procurarsi qualcosa per la sua vita. Allo stesso modo non è sufficiente dare la felicità per una giornata, ma dobbiamo dare la felicità duratura. La felicità può essere concessa a tutti gli esseri senzienti quando avremo la potenzialità, la capacità di aiutare gli altri esseri senzienti. Questo possiamo averlo solo ottenendo lo stato di Buddhità, quindi diventando un illuminato, un Buddha. Prima di voler ripagare la gentilezza degli esseri-madre dobbiamo riuscire a percepire ogni essere senziente in un aspetto gradevole, piacevole. Se noi immaginiamo gli aspetti sgradevoli degli esseri senzienti, si perde automaticamente la voglia di aiutare, il desiderio di sacrificarsi per gli altri. Sulla base di questa capacità di vedere tutti gli esseri senzienti in un aspetto molto gradevole e piacevole allora bisogna sviluppare il cosiddetto "amore e compassione universale". La compassione di cui parliamo qui non è quella che viviamo di solito quando, vedendo una persona o un animale che soffre, proviamo una specie di tristezza e di "partecipazione". Si tratta piuttosto di una compassione universale, dove non escludiamo nessuno. Tutti gli esseri senzienti diventano oggetto della nostra compassione, del nostro amore. La caratteristica della compassione è di desiderare fortemente che tutti gli esseri senzienti siano liberati dal loro dolore. Purtroppo tutti gli esseri senzienti vivono quotidianamente, vagando in questa esistenza ciclica, spinti dai tre tipi di sofferenza. Sperimentiamo giorno dopo giorno la sofferenza della sofferenza, del cambiamento e la sofferenza onnipervadente. Il primo tipo di sofferenza è facile da riconoscere come la sofferenza fisica che tutti noi conosciamo, per esempio il mal di testa, schiena, ecc. e questa è detta la sofferenza della sofferenza. Il secondo tipo di sofferenza è più difficile da riconoscere perché tante volte ci inganna. La confondiamo come un piacere mondano. Siamo spiritualmente deboli, perciò la sofferenza del cambiamento viene considerata come qualcosa di positivo. Ad esempio, quando mangiamo un buon cibo, cerchiamo di abbondare e per il piacere di soddisfarci alla fine arriviamo alla sofferenza del mal di pancia. In breve, tutti i piaceri che noi proviamo in questa esistenza hanno la natura della sofferenza, hanno la potenzialità di produrre la sofferenza. Quando proviamo freddo ci ripariamo in un ambiente caldo. All’inizio questo ci procura piacere, ma continuando a stare in questo ambiente così caldo piano piano tutto ciò si trasforma in sofferenza. Il piacere non dura e poi desideriamo di nuovo il fresco. Quando il sole scotta ci ripariamo sotto l’ombrellone e poi da questo torniamo a prendere il sole. Questo succede spesso: quello che noi chiamiamo piacere in realtà è una sottile sofferenza dovuta al cambiamento-mutamento, non legato solo alla stagione ma anche al nostro essere. Il terzo tipo di sofferenza è quello peggiore. Le prime due sofferenze, della sofferenza e del cambiamento, derivano dalla terza che è la sofferenza onnipervadente. La nostra esistenza stessa è la base, la fonte dei primi due tipi di sofferenza. Questo perché la nostra esistenza deriva da un karma contaminato e dall’ignoranza, quindi la causa della nostra esistenza ciclica, il samsara, è legata all’ignoranza e al karma negativo. Una volta che abbiamo preso questo corpo umano o corpo samsarico, non si può sfuggire al dolore e alla sofferenza, perché la natura della nostra esistenza è la sofferenza. Non si può fuggire dalle malattie, dalle disgrazie, ecc. Dobbiamo essere in grado di capire come essere debbano essere affrontate, perché fanno parte della nostra esistenza, invece di lamentarci e far soffrire la nostra mente. Quando parliamo dell’ottenimento della realizzazione finale, raggiungendo l’illuminazione, non vuol dire che otterremo una trasformazione fisica ma che, piuttosto, riusciremo ad eliminare definitivamente l’ignoranza e il karma contaminato, che sono la causa della nostra esistenza samsarica. Una volta che li abbiamo eliminati definitivamente diventiamo un essere illuminato. E’ una nostra impresa, tutto dipende da noi. Nessuno degli esseri illuminati scenderà e ci aiuterà con una bacchetta magica. L’aiuto che noi riceveremo dagli esseri illuminati come Buddha è quello di ricevere l’energia ispiratrice, seguire i loro insegnamenti e consigli. Allora riusciremo a spezzare questa catena dell’esistenza samsarica. Riusciremo a pulire dentro di noi le energie negative e l’ignoranza. Un essere illuminato non insegna come me. Insegna secondo la disposizione mentale delle persone che ascoltano e riesce a capire le loro esigenze particolari e quindi vi è l’aiuto diretto, mirato verso le persone che desiderano ottenere la realizzazione. L’altruismo è fondamentale per ottenere la realizzazione finale, per generare la mente del Bodhi, del risveglio. Se non esistessero gli altri esseri senzienti non potremmo mai diventare un illuminato perché non avremmo l’oggetto su cui "sperimentare" la compassione. La presenza degli altri esseri senzienti è importante. Dobbiamo sempre desiderare che gli esseri senzienti siano completamente liberati dal loro dolore; questo pensiero va coltivato ripetutamente. A questo punto dobbiamo meditare sull’amore, desiderando che gli esseri senzienti siano felici eternamente. La sesta pratica è quella di sviluppare una forte determinazione che viene chiamata "pensiero meraviglioso". Sulla base della compassione e dell’amore dovremo fare qualcosa di più. Dovremo determinarci, dicendo: "Io libererò tutti gli altri esseri senzienti dal dolore e dalla sofferenza". Questo è un atteggiamento molto coraggioso, come quello di un grande guerriero che indossa una corazza che gli permette di affrontare qualsiasi difficoltà. La settima istruzione è in realtà il risultato delle sei precedenti, e cioè l’ottenimento della vera e propria mente altruistica di Bodhicitta, che è a sua volta la causa fondamentale per il raggiungimento della buddhità, in grado di liberare tutti gli altri esseri senzienti. E’ faticoso sviluppare il pensiero altruistico, raggiungere quello stato, ma è facile perderlo. Per non degenerare questa mente, questo pensiero allora bisogna impegnarsi attivamente per aiutare gli altri esseri senzienti, non solo col pensiero, ma anche col comportamento e con tante altre pratiche. "Sarò io a lavorare per gli altri": questo pensiero rafforza, dà maggiore energia per mantenere questo pensiero positivo. Quando riusciamo a mantenere costantemente questo pensiero, dovremo allenarci con altre istruzioni per ottenere i dieci livelli di realizzazione, per diventare un Buddha. In questo modo, le sette tecniche che vengono chiamate le istruzioni segrete diventano la causa per diventare un illuminato. Tutto questo dipende molto dalla pratica. Essa è valida sia per i giovani che per gli adulti. Spesso cioè un anziano non si sente in grado di praticare e un giovane non si sente ancora l’età giusta per cominciare. In realtà questa pratica è valida per chiunque ed in qualsiasi situazione, che ha lo scopo di trasformare la propria vita in funzione altruistica. Quello che io penso è che quando diventiamo più vecchi dobbiamo essere più felici, con una mente più rilassata rispetto a quella che avevamo durante l’adolescenza. Credo che riuscire ad arrivare ad un’età avanzata è una fortuna. La nostra sopravvivenza è molto difficile. Sappiamo che le cause della nostra morte sono maggiori a quelle della nostra sopravvivenza. Spesso quando passa un anno, in qualsiasi cultura, si festeggia il capodanno. In realtà invece di fare festa dovremmo essere più tristi perché ci avviciniamo sempre di più verso la morte. Nella nostra cultura festeggiamo perché siamo riusciti a vivere un anno in più. Si prega e si spera di riuscire a continuare a vivere. Il capodanno viene celebrato come una preghiera di ringraziamento e soprattutto si prega di vivere a lungo ed avere un anno nuovo pieno di energia positiva, sviluppando il pensiero di benevolenza e così via. Altrimenti è inutile festeggiare il capodanno perché purtroppo ogni anno che passa andiamo sempre più vicino all’incontro della morte. Io concludo qui ed ora discutiamo un po’, se avete delle domande così vediamo di confrontare il nostro modo di pensare. D.: Io vorrei chiedere qualcosa sulla reincarnazione Anche se io ci credo, quando ne parlo ad altre persone queste mi chiedono di dimostrarle che esiste veramente! R.: Purtroppo non lo si può mostrare, non si può convincere qualcuno di accettare qualsiasi cosa attraverso qualcosa di concreto, visibile. Non possiamo dire che esiste la reincarnazione perché ne abbiamo le prove concrete. Ma va fatto un ragionamento logico, ricorrendo ad un minimo di cultura e comprensione perché tutte le religioni hanno una logica abbastanza simile anche se con insegnamenti diversi. Secondo la logica buddhista ci sono più prove logiche a favore dell’esistenza di una vita futura di quelle che la negano. Sia che una persona accetti l’esistenza di vite passate e delle vite future, prima di tutto deve essere in grado di conoscere la causa della nostra coscienza mentale. Quindi non è sufficiente avere una fede, ma deve esserci la ragionevolezza e la logica. Se si riesce a rintracciare la causa della nostra coscienza mentale allora sarà convinto che esiste la vita passata e la vita ventura. Per esempio i buddhisti sono chiamate a non accettano neanche le parole del Buddha sulla base di una comune credenza, ma le accettano solo quando riescono a capire la loro validità sulla base di una ragione logica. D.: Ci può essere la felicità nella non conoscenza? Come per esempio quella di un bambino... R.: La felicità che prova un bambino è diversa da quella di un adulto. I sensi di una felicità piena, completa è diversa da quella di un bambino in cui la coscienza mentale e gli stessi sensi non maturi. Per cui la sofferenza e la felicità stessa non è completa, è momentanea. La non conoscenza è sempre confusione, più confusione proviamo e sempre più causa della nostra sofferenza. Meglio conoscere e capire le cose; la comprensione è base e diventa l’arma per affrontare le cause della sofferenza. Non conoscenza o ignoranza convenzionale-primordiale sono la causa della nostra sofferenza, non solo in questa vita, ma anche nelle vite future. Quindi non avremo la possibilità di evolverci. La nostra evoluzione spirituale e della nostra personalità dipendono dalla conoscenza. Non siamo tutti uguali e ognuno di noi ha diverse potenzialità karmiche e possiamo agire a seconda della nostra energia e della nostra capacità mentale, fisica e anche i nostri beni materiali per beneficiare gli altri. Ma non dobbiamo limitarci a questo, perché abbiamo la possibilità di cercare di non discriminare nella pratica. Se limitiamo i nostri consigli per esempio solo ai nostri amici del cuore, ma non li diamo volentieri a quelle persone che non consideriamo amiche allora diventa abbastanza assurdo. Sia alle persone che ci danno retta o meno noi dobbiamo essere diciamo uguali per tutti. I nostri consigli spirituali e mondani devono essere dati a chi è disposto ad ascoltarli, sia amici che nemici. In questo senso allora riusciamo a superare una prova. Anche i beni materiali non vanno distribuiti a tutti in una giornata ma bisogna cercare di sapere e dare nel modo giusto. Non si tratta di privarci di tutto ma gestirci bene per quelli che hanno bisogno. Allo stesso modo il nostro stesso atteggiamento. Non dobbiamo essere eccessivamente attaccati ai nostri familiari o ai nostri maestri, ma bisogna essere abbastanza sciolti. Noi siamo l’oggetto dell’amore e della compassione per tutti e il nostro affetto deve essere uguale per tutti. Altrimenti ci limitiamo, ci rinchiudiamo sempre più in una gabbia. Se la nostra disponibilità sentimentale, morale, economica è solo per coloro che "meritano", e facciamo un ragionamento del tipo "lui è stato gentile con me quindi devo dare, devo essere disponibile" non va bene, perché è come un commercio. E’ una pratica limitata. Rinchiudiamo noi stessi nel samsara, invece la nostra disponibilità sentimentale, morale, economica deve essere uguale per tutti. D.: La nostra felicità può essere creata dalla nostra mente e non da eventi esterni? R.: E’ proprio così. Chi cerca la felicità dagli altri e da fenomeni esterni vivrà male. La nostra felicità e soddisfazione non vengono da nessuno altro; le altre persone sono solo un supporto, un piccolo aiuto. Ma tutto deve derivare da noi. La felicità – per esempio – non deriva dal compagno della vita, la felicità la creiamo noi. La sofferenza non deriva da lui o lei; la sofferenza la creiamo noi. Allora non dipende dagli altri. Tutto dipende da noi, noi siamo responsabili del bene e del male che accade nella nostra vita. Un esempio banale: quando nevica tutti vanno a cercare la felicità sulla neve, ma non rimangono il giorno e la notte lì, tornano a casa. Se la felicità derivasse dalla neve o dalla spiaggia, uno resterebbe sempre lì. Nessuno lo abbandonerebbe. In questi giorni (fine gennaio, ndr) le spiagge sono libere... D.: Si dice che la rinascita umana sia molto rara. Vorrei sapere qualche punto preciso in cui si può rinascere in un’altra tipologia. R.: Ci sono molte altre rinascite. Se, per esempio, non seguiamo una vita spirituale già questo è causa per rinascere nella forma animale, spiriti o esseri senzienti infernali. Le cause per assumere queste forme non richiedono il compimento di azioni virtuose. Attaccamento, invidia, gelosia favoriscono la rinascita nei reami inferiori. Purtroppo per ottenere la rinascita umana si richiedono molte qualità. Anzitutto il mantenimento delle dieci etiche morali, che è una grande impresa e in più seguire i sei perfezionamenti. Perciò coloro che sono nati nella forma umana devono avere la consapevolezza che nelle loro vite precedenti abbiamo fatto tante cose belle e valide. D.: Una persona che ha trasgredito per metà vita questi precetti, cosa può fare per rimediare? R.: In un certo senso è anche abbastanza semplice. Se ha una forte determinazione di migliorare e di evolversi allora innanzitutto bisogna avere un senso di rincrescimento per aver commesso questi errori, sia consapevolmente che inconsapevolmente. Dirsi che quello che è stato fatto nel passato è sbagliato e ripromettersi di non farlo più: già questa determinazione procura una forza interiore che permettere di affrontare meglio le difficoltà e le situazioni avverse. Soprattutto bisogna seguire un cammino spirituale. Il rimedio migliore come pratica di purificazione è quello di accumulare energia meritoria. Per accumulare energia meritoria non si intende chiudersi in una cella per meditare, ma cambiare il proprio atteggiamento mentale, fisico e verbale. Cercare di indirizzarsi verso un atteggiamento positivo, leale, giusto. Questo atteggiamento già diventa una pratica purificatrice e base per meritare una vita migliore. Ci si può chiedere come mai se è così difficile ottenere la reincarnazione umana come mai ci sono sempre più persone sulla terra. E’ molto semplice: in confronto al numero degli esseri umani gli altri esseri senzienti sono moltissimi. Il numero degli esseri umani esistenti sul nostro pianeta sono come quello degli animali che vivono in un metro quadrato di terra. Quando noi parliamo di praticare non significa che dobbiamo in una bella mattina decidere di mollare tutto ed andare in un luogo solitario a meditare, no, la pratica va fatta da questa sera stessa. Prima di coricarsi e dormire cerchiamo di avere cinque minuti di tempo per pensare a tutto quanto abbiamo fatto nella giornata. Se si è fatto qualcosa di male non si tratta di pensare e soffrire di nuovo. Bisogna pensare e capire perché ci siamo comportati in quella maniera e pensare di non comportarsi più in quel modo da subito, per non creare più quell’energia negativa. E’ un impegno, è una pratica valida. Se abbiamo fatto tante cose belle, abbiamo aiutato, parlato bene, pensato bene, cercato di dare un aiuto morale a qualcuno, proponiamo di ripetere questo comportamento e già così avremo un buon sonno tranquillo e alla mattina a vremo maggiore energia spirituale e non con pensieri rancorosi e avversi. Per fare questa pratica non serve un cuscino tradizionale, un testo tradizionale, un abito religioso, non serve nulla; ma bisogna ricordare il più precisamente possibile la creazione di tutte le energie positive e quelle negative. A volte possiamo accorgersi che abbiamo creato più energia positiva che negativa. Facendo questo ogni giorno possiamo vedere un nostro miglioramento, l’aumento del positivo rispetto al negativo. Il Maestro ringrazia il Centro, l’organizzatore e soprattutto voi che avete permesso al Maestro di discutere su questi argomenti. Il Maestro non ha fatto questi discorsi per dimostrare la propria conoscenza spirituale, che non interessa a nessuno, ma ha fatto questo discorso per dare un piccolo contributo. Se qualcuno di voi magari si è trovato bene con questi discorsi, se li avete trovati ragionevoli, cercate di applicarli nella vostra vita quotidiana. Sicuramente questo vi darà della forza e dell’energia interiore; non necessariamente pensate che questi insegnamenti siano partiti da un grande Maestro, ma potete pensare e ricordare ogni tanto che avete cominciato da un monaco buddhista. Io non sono un Maestro così competente e istruito per trasmettere un insegnamento segreto. Però un consiglio è di cercare di praticare e di mettere in pratica tutto il più possibile. Quando tornerò in Italia, sicuramente tornerò a trovarvi. Grazie. |
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