Gli yak selvatici sono infatti diminuiti di numero (se ne contano oggi circa 150.000 esemplari) a causa dell'incremento della domanda di carne di questi animali e al conseguente aumento della caccia. Sebbene mangiarne la carne non sia considerato un sacrilegio nella cultura tibetana, cacciare yak selvatici è illegale. Pochi, se non addirittura nessuno, degli yak che i viaggiatori possono vedere sono drong (yak selvatici). Anzi, nella maggior parte dei casi non si tratta nemmeno di veti yak, ma piuttosto di dza, un incrocio tra uno yak e una mucca. Gli yak domestici raramente superano t,5 m di altezza e, a differenza del loro parenti selvatici, hanno un pelame che va dal nero al grigio e arriva fino al bianco, soprattutto nei dintorni di Kokonor, nel Qinghai. Vedere un singolo esemplare di un colore diverso all'interno di un branco è considerato di cattivo auspicio, mentre vederne due o più di due della stessa tonalità è considerato un segno di fortuna.
A dispetto della loro grande mole, gli yak si muovono con passo sorprendentemente agile e sicuro sui sentieri ripidi e stretti, persino se costretti a trasportare carichi del peso di 70 kg. Sono però animali che si spaventano facilmente e che tendono a stare vicini gli uni agli altri. Questo Istinto gregario consente ai pastori di condurre attraverso valichi bloccati dalla neve intere mandrie, che svolgono In tal modo la funzione di spazzaneve naturali. Avendo una quantità di globuli rossi tre volte superiore a quella di una mucca, lo yak cresce bene ad altitudini elevate, dove la pressione atmosferica è minore. Infatti, la curiosa struttura della sua cassa toracica, costituita da 14 o 15 paia di costole invece che dalle 13 tipiche dei bovini, conferisce loro una maggiore capacità di inalate ed espellere l'aria; da ciò deriva tra l'altro il nome latino di questo animale, Bos grunniens, che letteralmente significa 'bue che grugnisce'. In effetti, scendere al di sotto dei 3000 m può compromettere il ciclo riproduttivo dello yak e renderlo vulnerabile a parassiti e malattie. Ammantati da strati di pelo lungo e ispido e protetti da un soffice sottopelo lanuginoso, gli yak usano la lingua quadrata e il largo muso per cercare il foraggio vicino al suolo a temperature che spesso scendono a -40'C. I tibetani ricavano dagli yak il latte per il formaggio e l'immancabile burro usato per il tè e per alimentare le lampade nei monasteri. Il pelo è tessuto per confezionare stoffa per tende e corde, mentre il soffice contropelo viene filato per ottenere la chara (un tipo di feltro) e utilizzato per fabbricare borse, coperte e tende. Le code sono usate nelle pratiche religiose buddhiste e hindu, mentre dalle pelli si ricavano suole per stivali e il cuore trova impiego nella medicina tibetana. La tradizione nomade vuole che nessuna parte dell'animale vada sprecata, al punto che persino lo sterco ha una sua funzione: lasciato essiccare in piccole tavolette sulle pareti di quasi tutte le case tibetane, esso è largamente impiegato come combustibile naturale. Gli yak sono così importanti per i tibetani che a ciascun animale è attribuito un nome proprio, come si fa con i bambini. I pastori hanno molta cura della salute e della sicurezza dei loro animali. Spostandosi da tre a otto volte l'anno, garantiscono loro pascoli adeguati. Ogni primavera la folta pelliccia degli yak viene accuratamente spuntata. I nomadi, inoltre, sono abili veterinari e utilizzano la loro capacità per incidere ascessi, rimettere a posto ossa rotte e cauterizzare tagli. Lo yak, con la sua straordinaria costituzione e la sua poderosa forza, ha avuto un ruolo essenziale nel rendere possibile la dura vita dei drokpa (nomadi) del Tibet, che convivono con i loro animali in ammirevole armonìa.
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