L'opera tibetana, dal momento che le sue origini sembrano risalire al VII secolo, pare essere la più antica delle specie teatrali esistenti e sembra avere alcuni punti di contatto con altre forme di teatro (ellenico, indiano, giapponese e cinese). All'interno delle esecuzioni dell'ache-lhamo i costumi, e soprattutto le maschere, che indossano gli attori svolgono un ruolo fondamentale in quanto servono per identificare i diversi personaggi. La caratteristica Maschera Blu, che deriva direttamente da una ancora più antica di colore bianco, è uno dei principali simboli del lhamo e all'inizio dello spettacolo gli attori la tengono calata sul volto in segno di rispetto nei confronti del pubblico ma durante la danza la mettono sulla testa per potersi muovere più comodamente. La rappresentazione di un lhamo è un evento spettacolare estremamente apprezzato dal popolo e la cui esecuzione in genere dura un'intera giornata, dal mattino fino al tramonto. In linea di massima le opere si dividono in tre parti: una introduzione (cerimonia purificatrice), l'opera propriamente detta e una cerimonia conclusiva. Il lhamo non è mai diviso in atti e a legare i vari momenti dell'azione vi è un narratore che riassume quanto si è visto e annuncia ciò che sta per accadere. Ogni personaggio si esprime con una propria melodia e viene talvolta accompagnato dagli altri. La musica guida l'azione scenica mentre si alternano il canto narrativo, la canzone dialogata e la musica strumentale. Il canto narrativo consiste nella declamazione veloce della trama, con una intonazione particolare che alterna toni alti e bassi. Le numerose canzoni dialogate, eseguite dai protagonisti, sono seguite da una danza che inizia e si conclude con la ripetizione dell'ultimo quarto di verso. Le melodie sono arricchite da variazioni caratteristiche dette gyur-khug. Una parte molto importante è svolta dal coro che segue il canto di un protagonista; è formato da tutti gli attori che non ricoprono ruoli di primo piano e che rimangono attorno allo spazio scenico per tutta la durata della rappresentazione. Infine va ricordato che in ogni opera tibetana esiste un personaggio comico che non è tenuto a rispettare un testo fisso. Può improvvisare le sue battute e il pubblico segue le sue parole con grande attenzione ritenendole ispirate da grande saggezza. Di solito le rappresentazioni si svolgono all'aperto. Al centro della scena si erge una sorta di altare tramite il quale attori e pubblico rendono omaggio a Thonthong Gyalpo, un venerato maestro buddhista considerato il padre del teatro tibetano. Le opere teatrali vengono chiamate "vite" o "biografie" poiché sovente consistono nella narrazione di una biografia esemplare e degli avvenimenti che si intrecciano con essa. In genere, i fatti che costituiscono il cuore del racconto vengono declamati in prima persona mentre gli altri attori cantano la parte in versi. Un piccolo gruppo musicale, di norma composto da un tamburo (nga) e da un paio di cembali di ottone (rolmo), sottolinea i passaggi di maggiore intensità. Solo in epoca recente i testi delle principali ache-lhamo sono stati trascritti. Per molti secoli questa tradizione si è preservata oralmente e gli autori originari sono ancora oggi sconosciuti. Prima dell'invasione cinese la passione per il teatro era molto diffusa in Tibet e si può dire che ogni città e villaggio avesse le sue compagnie teatrali che rappresentavano un gran numero di spettacoli. Alcune di queste compagnie erano itineranti e portavano il loro repertorio in tutte le tre grandi regioni del "Paese delle Nevi": U-Tsang, Amdo e Kham. Perno di ogni gruppo teatrale era il "responsabile" , una persona che incarnava l'anima dell'intera compagnia in quanto fungeva da direttore artistico, drammaturgo, regista ed anche maestro spirituale. Era lui che designava il suo successore. Gli attori delle principali compagnie erano professionisti che dedicavano la vita a questa arte e da essa traevano il loro sostentamento. Ma a fianco di tre o quattro gruppi professionali in Tibet ve ne erano diverse decine composti da attori per così dire "locali". Uomini che svolgevano tutti un'altra professione e che in occasione di determinate festività si improvvisavano attori per rappresentare alcuni tra i lhamo più famosi del repertorio tibetano.
di Piero Verni |